Descrizione
Il toponimo “Maserà” è visto dal alcuni (Bortolami) in relazione alla presenza di acque dove si macerava il lino oppure (Beltrame ed altri) come il villaggio sorto in epoca romana e circondato da un muro e di sassi e pietre (macèria), accumulati in seguito alla bonifica che seguì la centuriazione romana.
Il territorio comunale, pianeggiante e ben irrigato, situato nelle immediate adiacenze all’antichissima città di Padova, deve essere stato coltivato già da popolazioni paleovenete: il successivo avvento dei romani portò una risistemazione delle terre in base all’abituale sistema della centuriazione, che migliorava la resa agricola favorendo la bonifica delle paludi ed il contenimento dei corsi d’acqua. Sappiamo che il territorio era attraversato da una “strada caput silvae” e possiamo ipotizzare che lungo di essa sorgessero i primi nuclei abitativi: in ogni caso gli insediamenti esistenti non seppero resistere al violento impatto delle popolazioni barbariche che, incuranti degli allevamenti e delle coltivazioni, saccheggiarono e devastarono la zona.
Principio di rinascita fu l’assegnazione di vasti possedimenti del padovano al monastero dei benedettini di Santa Giustina di Padova: risale al 740 il primo insediamento dei monaci nel territorio, più precisamente nel luogo chiamato Corte.
Un secolo dopo, 2 maggio 874, sì hanno nuove notizie del possedimento benedettino grazie alla donazione di alcune terre fatta dal vescovo padovano Roerio (o Rosio), di origine francese e ben visto dagli alti vertici carolingi. Questa concessione comprendeva la Corte di Maserà ed una chiesa, o più propriamente cappella, dedicata a S. Martino in Ronchi la quale, non essendo dotata di fonte battesimale, risultava dipendere dalla cattedrale di Padova.
Nel febbraio del 970 i beni della Corte di Maserà vengono ulteriormente confermati ai monaci dal vescovo di Padova Gauslino, che nomina fra le dipendenze una cappella dedicata a S. Maria Vergine. La preesistente chiesa di S. Martino divenne Pieve di Ronchi, mentre la nuova chiesa di S. Maria Vergine divenne sede arcipretale nel 1190 e successivamente Pieve, dotata di proprio fonte battesimale, secondo Beltrame, prima del 1077.
Un centro abitato a Maserà risulta esistente nel 1234; anzi, Maserà è elevato a comune e comprende Bertipaglia, Bolzani, Cà Murà, Pratiarcati e Villa Albarella; libero comune, ma dipendente giuridicamente da Padova, era retto da un podestà che percepiva uno stipendio di 50 lire annuali.
La Corte benedettina visse periodi dì estrema floridezza alternati ad annate difficili: gli edifici rispecchiano quest’alternanza e vennero più volte restaurati e ricostruiti. Nel XV secolo il nuovo abate, Ludovico Barbo, promosse numerosi interventi atti a migliorare il sistema delle culture e provvide alla bonifica dei terreni paludosi: il fondo di Maserà fu diviso in diciotto possessioni affidate ad altrettanti coloni; nella Corte, consistente in una casa in muratura con annesse stalle, granai, cantine ed orti cintati, nonché un oratorio dedicato a Santa Giustina, risiedevano stabilmente un monaco-rettore ed un monaco-commesso. Molto diversi erano gli edifici che ospitavano i braccianti: semplici “casoni” di paglia dove viveva la gran massa dei lavoratori, retribuiti a giornate di lavoro. La popolazione ebbe anche a soffrire il passaggio delle truppe della lega di Cambrai che, nel settembre 1513, misero a sacco il territorio.
Già da alcuni anni i registri delle visite pastorali compiute dai presuli a Maserà lamentavano lo stato di abbandono in cui versava la chiesa parrocchiale, gestita da un sacerdote indegno, poi allontanato: la chiesa fu ricostruita e ricevette una nuova consacrazione il giorno 8 settembre 1496 (giorno della festa di Santa Maria Nascente).
La dominazione della Serenissima portò un lungo periodo di pace e l’introduzione di nuove sementi provenienti dall’America, che migliorarono il vitto della popolazione ed introdussero i germi di una ristrutturazione dei coltivi sulla base dell’economia di mercato.
Con l’arrivo dei francesi e la soppressione degli enti religiosi voluta da Napoleone, la Corte e tutte le sue pertinenze entrato a far parte del demanio pubblico: del Regno d’Italia prima e del Lombardo-Veneto poi. Una vasta parte degli antichi possedimenti benedettini insieme agli edifici della Corte divennero proprietà di un certo Antonio Faccanoni e successivamente dei fratelli da Zara, che introdussero la coltivazione della barbabietola volgendo decisamente il tipo di coltivazione da “cultura di sussistenza” a “cultura di mercato” ed affamando in tal modo la popolazione, che reagì con la creazione di una sorta di sindacato agricolo.
Trascorsi i duri periodi di guerra e di ricostruzione, oggi il Comune di Maserà basa ancora la propria economia principalmente sull’agricoltura, sulla produzione d’ortaggi (in particolare del Radicchio variegato Castelfranco IGP), ma dopo la II Guerra Mondiale anche il terziario e l’industria si sono notevolmente rafforzati, grazie al sorgere di numerose imprese artigianali.
ARTE E CULTURA
Gli edifici che testimoniano il passato di Maserà sono ancora numerosi, anche se si deve lamentare la scomparsa dell’antico oratorio di Santa Giustina adiacente alla Corte benedettina. In stato di quasi abbandono giace la chiesa campestre di S. Giovanni Battista, sorgente in contrada Bolzani, mentre la chiesa della Madonna del Rosario, situata nei pressi del canale di Battaglia, è attualmente in fase di sistemazione.
L’antica chiesa parrocchiale dedicata a Santa Maria sorge nella piazza del Municipio di Maserà: sconsacrata nel 1968, è ora chiusa al pubblico ed in fase di restauro. Al suo posto è stata costruita una più vasta chiesa progettata tenendo conto dei più recenti dettami conciliari e consacrata alla Natività di Maria. Analogamente l’antica parrocchiale della frazione di Bertipaglia, più volte restaurata ed ampliata nei secoli, è ora chiusa al pubblico: la sostituisce una nuovissima costruzione dai volumi cilindrici, sempre dedicata al patrono di Bertipaglia, San Mariano.
Di particolare nota è l’antica chiesetta sorgente in località Ca’ Murà. Il termine “Ca’ Murà” compare per la prima volta in un documento del 1034, in cui è nominato un oratorio pubblico intitolato a S. Stefano, il protomartire cristiano che ha per moto “Ora et labora” che i benedettini considerano come loro particolare modello e protettore. Questo minuto monastero benedettino femminile era recintato da una mura, si può così facilmente spiegare il toponimo dato alla località di Ca’ Murà.
Tra 1216 e il 1220 vi si stabilisce una comunità di frati francescani che vi rimase poco più di settant’anni. Il convento dì Ca’ Murà aveva raggiunto una piena autonomia, infatti nel 1238 poté beneficiare dei cospicui lasciti del terziario francescano Buffono di Bertolotto che lascia per testamento 100 soldi al convento di Ca’ Murà perché provveda a dar inizio alla costruzione della Basilica di S. Antonio.
Nella decima papale del 1297, Ca’ Murà è nominata come chiesa curata, distinta da Bertipaglia, con un rettore con il titolo di Priore, il che fa pensare un ritorno dei benedettini, probabile un priorato semplice, che comprendeva non più di tre o quattro monaci. Nel 1449 il monastero aveva cessato di esistere e la chiesa dei Santi Stefano ed Eurosia era passata in proprietà della parrocchia di S. Mariano, anche se continuava ad avere il suo Fonte battesimale segno della sua parrocchialità.
Questa situazione si è protratta fino alla Visita Pastorale del 7 maggio 1588 quando la chiesa di Ca’ Murà venne dichiarata succursale della Parrocchia di Bertipaglia. Il 29 maggio 1589 Papa Sisto V assegnò il beneficio semplice di Ca’ Murà ai Canonici Illirici di S. Girolamo di Roma i quali dopo quella data costruirono il grazioso campanile al lato destro dell’abside. Nel 1780 ai Canonici Illirici successe la famiglia padovana dei Petrobelli , fino al 1900, quando Chiesa, casa e terreno circostante vennero posti all’asta, e furono acquistati da Don Gottardo Bellan, parroco di Bertipaglia, il quale, lascia in successione i beni al fratello Don Antonio Bellan. Ricerche oggi in atto stanno cercando di determinarne l’attuale proprietà.
Oggi la chiesa ha mantenuto il suo semplice aspetto: si tratta di un. edificio a navata unica, posto su un rialzo in pietra che lo isola dal terreno; la facciata è scandita da due lesene; alcuni gradini centrali conducono alla porta d’ingresso, sovrastata da una nicchia affrescata. Sopra la nicchia una finestra ad arco. All’interno si conserva un altare cinquecentesco, una tela raffigurante la Vergine con il Bambino, Santo Stefano e Sant’Eurosia e la lastra tombale indicante la sepoltura della famiglia Petrobelli.
Interessante, nelle vicinanze, è la villa Petrobelli di Ca’ Murà,. La costruzione sembra risalire al XVIII secolo e conserva una lapide tombale proveniente dalla chiesa di Sant’Agostino di Padova, che ricorda la morte di Giovanni Battista Petrobelli, avvenuta il 17 settembre 1558.
Testi liberamente tratti da: A. TONIOLO, Maserà di Padova, “Quatro Ciàcoe”, XIV (marzo 1996), p.38-50); G. Beltrame, Maserà di Padova con Bertipaglia e Ca’ Murà, Ed. Maseratense, Maserà di Padova, 1999; per approfondimenti ed immagini su “Ca’ Murà” si veda il sito www.ca-mura.it